Sono tornata al
Grand Hotel di Rimini dopo tanti anni.
Il fascino, lo stile
e l’eleganza di quest’antico albergo sono rimasti immutati nel tempo, così come
gli arredi originali del XVIII secolo che rievocano le suggestioni del passato.
Lo Stile è
Coscienza, affermo in un articolo postato nel mio sito Il Dono degli Dei, e il
Grand Hotel di Rimini ne è la manifestazione, è la Bellezza donata da una dea.
La finestra della
stanza si apre sul mare e accoglie il profumo salmastro di questa primavera.
Chiudo gli occhi e mi lascio accarezzare dal tepore della brezza marina. Un
ricordo mi riporta a tanto, tanto tempo fa, quando, per la prima volta, ho
amato un uomo. Il primo amore, perso…ritrovato…e lasciato andare per sempre con
un grazie di aver mantenuto la promessa proprio
qui, in questo magico luogo.
Le note che salivano dal juke box coloravano d’azzurro l’aria di quel pomeriggio di primavera e io ne canticchiavo sottovoce il motivetto mentre, seduta a un tavolino lì accanto, svolgevo i compiti di matematica.
Azzurro il pomeriggio è troppo azzurro e lungo per me…
Avevo quattordici anni, una gran voglia di libertà e un amore platonico. Si chiamava Nick il mio primo amore. Nick, il mio primo appuntamento col desiderio, con l’eccitazione, col tormento.
Il suo sguardo mi confondeva e arrossivo quando mi parlava. Forse
perché mi sembrava così grande, con i
suoi diciannove anni, o forse solo perché
era bello come un dio mentre di me si poteva dir tutto fuorché
fossi carina.
fossi carina.
- …ma è la più
intelligente! – si dicevano mia madre e mio padre, mettendomi a confronto con
le altre sorelle e pensando di darmi conforto. Sarebbe bastato omettere quel
“ma”, non pronunciare quelle due lettere dell’alfabeto che da sole hanno avuto
il potere di complicarmi la vita.
- Ciao Genio! –
comparve all’improvviso sulla porta del bar ristorante dei miei genitori e
salutò, come sempre, con l’appellativo che mi aveva regalato per la mia
capacità di studiare e contemporaneamente ascoltare musica ad alto volume.
Appoggiò i suoi libri, tenuti da un laccio di gomma, sul flipper, si avvicinò
al mio tavolo, si assicurò con lo sguardo che mio padre non fosse nelle
vicinanze e si sedette accanto a me, inondandomi di quel suo sorriso luminoso e
sfrontato.
- Il padre padrone
sta riposando – lo rassicurai, incredula io stessa di vederlo lì a quell’ora
insolita per lui e di potermi godere il dono di un appuntamento fissato dal
destino senza occhi indiscreti. Eravamo soli. Il bar era stranamente vuoto e
pareva che tutti i membri della mia famiglia si fossero dileguati, inseguendo
chissà quali impegni, per lasciarmi lo spazio e il tempo da riempire con un
ricordo che non avrei mai più cancellato.
Sapeva del mio amore
per lui. L’intero Universo sapeva. Mi parlava con dolcezza, mi trattava con
grande cautela, come si fa con le bambole di porcellana. Mi vedeva piccola e
fragile. Temeva di sporcarmi, di rompermi. Ogni sera veniva a trovarmi dopo la
scuola ed io inventavo ogni sera una scusa da raccontare a mio padre per uscire
dal bar e accompagnarlo a prendere il treno che lo avrebbe portato a casa.
Entravamo in stazione da un ingresso laterale. In un luogo un po’ appartato mi
abbracciava e delicatamente si concedeva di posare casti baci sulle mie labbra
vergini.
- Sei ancora così
piccola, Genio – diceva accarezzandomi il viso.
- Ma crescerai e
quel giorno io ci sarò – prometteva.
Fu così che quel
pomeriggio d’aprile pronunciò il suo giuramento e l’Universo, testimone, lo
ratificò.
Su un foglio di
carta, strappato da un blocco notes, disegnò un’isola. La nostra isola.
-Fra dieci anni
vengo a prenderti, Genio, ti rapisco e ti porto qui. Avvicinati, piccola,
sogniamola insieme!-
Mi prese per mano e
ci levammo in volo. Immaginammo il viaggio, la fuga su di una zattera. Disegnammo
la mappa del luogo in ogni suo particolare. La nostra capanna. L’amaca distesa
fra due alberi che ondeggiava col favore del dio dei venti. C’era persino una
botte di salvataggio, suggerita forse dai recenti studi di filosofia su
Diogene. E soprattutto c’eravamo noi, una grande G e una grande N che
prendevano possesso del loro nido d’amore, un Grand Hotel che la natura ci
avrebbe messo a disposizione.
- Oggi, 24 Aprile
1968, alle ore 18:35 EGO NICK DECLARO ’78 RUBARE UN GENIO. IN FEDE – parlava ad
alta voce mentre scriveva il suo giuramento e dopo aver firmato pose le sue
labbra sulle mie con un’intensità a me ancora sconosciuta che mi fece fremere
in tutto il corpo. A sugello della promessa e incurante della possibilità che
qualcuno ci vedesse.
E la mappa fu
pronta. Il nostro piano di fuga prese posto in una bottiglia vuota di gazzosa e
lì rimase per sei anni, quando dovette cederlo al responso, per altro positivo,
di un’analisi di gravidanza fatta in tutta segretezza. La mia prima.
Una promessa è una
promessa! E quando un giuramento è solenne viene registrato negli annali del
Tempo. Passarono gli anni e, allo scadere del decimo, rividi il mio Nick e
chiusi il cerchio di questo amore lasciato incompiuto.
Un’altra città.
Un’altra stazione ferroviaria. Ero di spalle. Così lui mi riconobbe. Da qualche
minuto sentivo dietro la nuca il peso di uno sguardo ma non avevo il coraggio
di voltarmi.
- Sei tu, Genio? -
- Sono io, Nick. –
Passeggiammo mano
nella mano verso il tramonto. Ci raccontammo la vita che ci aveva divisi e sul
far della sera salimmo su quella zattera che da dieci anni aspettava per
traghettarci sulla nostra isola.
Il Grand Hotel di
Rimini ci accolse con un inchino e custodì il nostro incontro in
quell’atmosfera di magia, di eccitazione profonda dei sensi che pervade i suoi
locali. Camminammo a piedi nudi sul parquet della camera che ci ospitò,
rincorrendoci, come fossimo ancora adolescenti, fra arredi originali, lampadari
e dipinti del ‘700 veneziano e ritrovandoci, finalmente adulti, a sugellare la
nostra promessa su un accogliente letto in stile barocco. Quello splendido
scenario fu protagonista muto del nostro sogno.
Facemmo l’amore…e
naufragammo in un oceano di nostalgia. Non si ritrova il tempo perduto.
Lo persi nel momento
stesso in cui lo ritrovai.
Addio e grazie, Nick, ritorna
passato, diventa polvere. Mi basterà soffiarci sopra per essere libera.
Il Grand Hotel di
Rimini conserverà per sempre la storia di questo nostro amore.
Quanti ricordi...quanta nostalgia !
RispondiEliminaHai ragione : qualsiasi cerchio degno di questo nome va SEMPRE chiuso.
E poi lanciato alle spalle...è rotondo : rotolerà via come una palla.