- Svegliati! Non è più tempo di dormire. Alzati e vai nel
bosco. Una volta lì, saprai cosa devi fare! –
Aprii istantaneamente gli occhi. Quella voce sentita nel
sonno mi risuonava ancora dall’interno della coscienza: era un comando.
Intorno a me il buio non aveva ancora lasciato spazio alla
luce dell’aurora mentre dentro di me il silenzio non apriva porte ad altri
pensieri.
Alzati e vai nel
bosco. Una volta lì, saprai cosa devi fare!
Mi vestii lentamente, scegliendo gli indumenti da indossare.
Avevo un appuntamento col destino e dovevo essere pronta a ogni evenienza.
Maglioncino, scarpe da trekking, pila, un bicchiere d’acqua e via.
Entrai nel bosco che il sole stava sorgendo e mi trovai su
un’altura che consentiva allo sguardo di spaziare a est.
Io, dritta davanti al sole nascente, immersa in un silenzio
interiore che si rifletteva all’esterno creando i suoni del bosco che non
rompono il silenzio ma lo compenetrano. Spontaneamente le mie mani si giunsero
al petto e le mie braccia si alzarono verso il cielo iniziando la danza del
saluto al sole. Bevvi la sua energia e lui bevve me.
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Quindi mi inoltrai nella radura, non avevo una meta e mi
feci guidare dal vento d’estate che, insinuandosi tra le fronde degli alberi,
cantando, cantando, dava loro una direzione, la stessa verso la quale mossi i
miei passi.
Mi sentivo Alice nel paese delle meraviglie. Il respiro profondo
ossigenava le mie cellule e mi schiariva la vista rendendo i contorni delle
cose più definiti e i colori più brillanti. L’olfatto godeva dei profumi più
lievi dei fiori e più intensi del sottobosco. Sentivo il canto degli uccelli,
il fruscio del vento fra i rami e il crepitio dei miei passi sul sentiero di
sassi, foglie e rami secchi. Avevo i sensi in festa.
A un tratto il mio sguardo si posò su di uno strano bastone
di legno dalla forma inusitata. Il legno era massiccio e molto antico e
terminava con un’impugnatura molto larga. La mia mano non riusciva a
contenerla. Emanava potere. Lo raccolsi e continuai a camminare ma, dovendomi
arrampicare su una roccia, scelsi di lasciarlo in un punto. Sapevo che quel
tratto di bosco a me tanto famigliare non era così battuto e quindi decisi che
sarei tornata a riprenderlo un’altra volta.
Trascorse un anno e mi dimenticai di quella scoperta che il
bosco, a cui era stata affidata, seppe però custodire.
Conobbi un uomo, o meglio, un essere dalle sembianze umane
che parlava, si comportava, gioiva e amava da Sognatore, da Creatore. Viveva il
“Qui e Ora” e sosteneva di essere sulla Terra per compiere una missione:
traghettare l’umanità in un nuovo paradigma dell’esistenza.
Il pensiero che potesse venire da un’altra dimensione non mi
meravigliò affatto. Era così diverso da tutti noi! Gli occhi brillavano di luce
propria e il viso era costantemente illuminato da un candido e disarmante
sorriso. Tuttavia questa sua aria innocente a tratti si metteva in secondo
piano per lasciare spazio alle parole di un saggio, al coraggio di un guerriero,
alle magie di un mago, alla sovranità di un re, alla follia luminosa di un
folle d’amore.
Non mi sarei stupita se mi avesse confidato di essere nato
su un pianeta di un’altra galassia e di essere arrivato qui con un’astronave.
Amava profondamente la natura, si sentiva parte di essa.
Unito a ogni essere vivente compenetrava ogni cosa, ogni animale e ogni uomo,
donna o bambino che incontrasse.
Mi chiese perciò di accompagnarlo nel bosco ed io mi sentii
onorata di essere stata prescelta per fare da guida a un alieno innamorato, anche
se presto mi accorsi di non essere io a guidare. Di più, mi resi conto di
vedere quel bosco con i suoi occhi, di sentirne le energie con i suoi sensi, di
respirarne la magia con la sua leggerezza d’anima.
Giunti in prossimità dello spuntone di roccia che ero solita
scalare per godere del paesaggio che si apriva all’orizzonte, lo vidi fermarsi
di botto, annusare l’aria ruotando la testa da sinistra a destra con gli occhi
chiusi. Sembrava scansionare immagini dettate da una vista interiore. Quando riaprì
gli occhi lo sguardo era puntato in direzione di un anfratto coperto da rami
secchi dietro ai quali, illuminato da un raggio di sole, si intravvedeva la
strana impugnatura di un bastone. Il mio bastone!
Con passo sicuro raggiunse la roccia e con movimenti decisi
liberò da rami, arbusti e foglie l’accesso al grande buco nel quale un anno
prima avevo riposto il legno.
Lo prese fra le mani e lo guardò in tutta la sua lunghezza.
Appoggiò la mano sulla grande e piatta impugnatura che la accolse come una
culla. Annusò la fragranza del legno e a occhi chiusi ne sentì l’energia.
Immaginai che in quel momento lui vedesse la storia di questo bastone per
fotogrammi, come in un film.
Quello che successe poi ebbe dell’incredibile. Accompagnò al
cielo con lo sguardo le due mani che insieme sostenevano il bastone. Le braccia
erano tese davanti a sé:
Grazie Universo – disse con voce tonante – per avermi
restituito il Bastone del Comando che già fu mio in altro Tempo! -
Lo vidi calare un fendente che trafisse il suolo col potere
di chi sa unire le energie del cielo e della terra, dalla terra di mezzo,
quella degli uomini.
La natura tutta fu percorsa da un brivido. Il vento si alzò
scuotendo il bosco intero. Le nuvole in cielo per un attimo oscurarono il sole.
Poi tutto tornò calmo e il bosco si riappropriò della sua anima.
Non gli dissi mai di aver trovato e custodito quel bastone.
Non seppe mai che mi aveva cercato in sogno per intimarmi il suo comando.
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