domenica 18 maggio 2014

Il Grand Hotel di Rimini: il dono di una dea

Sono tornata al Grand Hotel di Rimini dopo tanti anni.
Il fascino, lo stile e l’eleganza di quest’antico albergo sono rimasti immutati nel tempo, così come gli arredi originali del XVIII secolo che rievocano le suggestioni del passato.
Lo Stile è Coscienza, affermo in un articolo postato nel mio sito Il Dono degli Dei, e il Grand Hotel di Rimini ne è la manifestazione, è la Bellezza donata da una dea.
La finestra della stanza si apre sul mare e accoglie il profumo salmastro di questa primavera. Chiudo gli occhi e mi lascio accarezzare dal tepore della brezza marina. Un ricordo mi riporta a tanto, tanto tempo fa, quando, per la prima volta, ho amato un uomo. Il primo amore, perso…ritrovato…e lasciato andare per sempre con un grazie di aver mantenuto la promessa proprio qui, in questo magico luogo.

Le note che salivano dal juke box coloravano d’azzurro l’aria di quel pomeriggio di primavera e io ne canticchiavo sottovoce il motivetto mentre, seduta a un tavolino lì accanto, svolgevo i compiti di matematica.
Azzurro il pomeriggio è troppo azzurro e lungo per me…

Avevo quattordici anni, una gran voglia di libertà e un amore platonico. Si chiamava Nick il mio primo amore. Nick, il mio primo appuntamento col desiderio, con l’eccitazione, col tormento.
            Il suo sguardo mi confondeva e arrossivo quando mi parlava. Forse perché mi sembrava così grande, con i
               suoi diciannove anni, o forse solo perché era bello come un dio mentre di me si poteva dir tutto fuorché
               fossi carina.
- …ma è la più intelligente! – si dicevano mia madre e mio padre, mettendomi a confronto con le altre sorelle e pensando di darmi conforto. Sarebbe bastato omettere quel “ma”, non pronunciare quelle due lettere dell’alfabeto che da sole hanno avuto il potere di complicarmi la vita.
- Ciao Genio! – comparve all’improvviso sulla porta del bar ristorante dei miei genitori e salutò, come sempre, con l’appellativo che mi aveva regalato per la mia capacità di studiare e contemporaneamente ascoltare musica ad alto volume. Appoggiò i suoi libri, tenuti da un laccio di gomma, sul flipper, si avvicinò al mio tavolo, si assicurò con lo sguardo che mio padre non fosse nelle vicinanze e si sedette accanto a me, inondandomi di quel suo sorriso luminoso e sfrontato.
- Il padre padrone sta riposando – lo rassicurai, incredula io stessa di vederlo lì a quell’ora insolita per lui e di potermi godere il dono di un appuntamento fissato dal destino senza occhi indiscreti. Eravamo soli. Il bar era stranamente vuoto e pareva che tutti i membri della mia famiglia si fossero dileguati, inseguendo chissà quali impegni, per lasciarmi lo spazio e il tempo da riempire con un ricordo che non avrei mai più cancellato.

Sapeva del mio amore per lui. L’intero Universo sapeva. Mi parlava con dolcezza, mi trattava con grande cautela, come si fa con le bambole di porcellana. Mi vedeva piccola e fragile. Temeva di sporcarmi, di rompermi. Ogni sera veniva a trovarmi dopo la scuola ed io inventavo ogni sera una scusa da raccontare a mio padre per uscire dal bar e accompagnarlo a prendere il treno che lo avrebbe portato a casa. Entravamo in stazione da un ingresso laterale. In un luogo un po’ appartato mi abbracciava e delicatamente si concedeva di posare casti baci sulle mie labbra vergini.
- Sei ancora così piccola, Genio – diceva accarezzandomi il viso.
- Ma crescerai e quel giorno io ci sarò – prometteva.

Fu così che quel pomeriggio d’aprile pronunciò il suo giuramento e l’Universo, testimone, lo ratificò.
Su un foglio di carta, strappato da un blocco notes, disegnò un’isola. La nostra isola. 
-Fra dieci anni vengo a prenderti, Genio, ti rapisco e ti porto qui. Avvicinati, piccola, sogniamola insieme!-
Mi prese per mano e ci levammo in volo. Immaginammo il viaggio, la fuga su di una zattera. Disegnammo la mappa del luogo in ogni suo particolare. La nostra capanna. L’amaca distesa fra due alberi che ondeggiava col favore del dio dei venti. C’era persino una botte di salvataggio, suggerita forse dai recenti studi di filosofia su Diogene. E soprattutto c’eravamo noi, una grande G e una grande N che prendevano possesso del loro nido d’amore, un Grand Hotel che la natura ci avrebbe messo a disposizione.
- Oggi, 24 Aprile 1968, alle ore 18:35 EGO NICK DECLARO ’78 RUBARE UN GENIO. IN FEDE – parlava ad alta voce mentre scriveva il suo giuramento e dopo aver firmato pose le sue labbra sulle mie con un’intensità a me ancora sconosciuta che mi fece fremere in tutto il corpo. A sugello della promessa e incurante della possibilità che qualcuno ci vedesse.
E la mappa fu pronta. Il nostro piano di fuga prese posto in una bottiglia vuota di gazzosa e lì rimase per sei anni, quando dovette cederlo al responso, per altro positivo, di un’analisi di gravidanza fatta in tutta segretezza. La mia prima. 



Una promessa è una promessa! E quando un giuramento è solenne viene registrato negli annali del Tempo. Passarono gli anni e, allo scadere del decimo, rividi il mio Nick e chiusi il cerchio di questo amore lasciato incompiuto.
Un’altra città. Un’altra stazione ferroviaria. Ero di spalle. Così lui mi riconobbe. Da qualche minuto sentivo dietro la nuca il peso di uno sguardo ma non avevo il coraggio di voltarmi.
- Sei tu, Genio? -
- Sono io, Nick. –
Passeggiammo mano nella mano verso il tramonto. Ci raccontammo la vita che ci aveva divisi e sul far della sera salimmo su quella zattera che da dieci anni aspettava per traghettarci sulla nostra isola.
Il Grand Hotel di Rimini ci accolse con un inchino e custodì il nostro incontro in quell’atmosfera di magia, di eccitazione profonda dei sensi che pervade i suoi locali. Camminammo a piedi nudi sul parquet della camera che ci ospitò, rincorrendoci, come fossimo ancora adolescenti, fra arredi originali, lampadari e dipinti del ‘700 veneziano e ritrovandoci, finalmente adulti, a sugellare la nostra promessa su un accogliente letto in stile barocco. Quello splendido scenario fu protagonista muto del nostro sogno.
Facemmo l’amore…e naufragammo in un oceano di nostalgia. Non si ritrova il tempo perduto.
Lo persi nel momento stesso in cui lo ritrovai.
Addio e grazie, Nick, ritorna passato, diventa polvere. Mi basterà soffiarci sopra per essere libera.
Il Grand Hotel di Rimini conserverà per sempre la storia di questo nostro amore.



1 commento:

  1. Quanti ricordi...quanta nostalgia !
    Hai ragione : qualsiasi cerchio degno di questo nome va SEMPRE chiuso.
    E poi lanciato alle spalle...è rotondo : rotolerà via come una palla.

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